competenze legali

SOCIETÀ SPORTIVE E FALLIMENTO: tra diritto fallimentare ordinario e norme sportive.

Il 15 novembre scorso doveva essere la giornata decisiva per la riorganizzazione della serie B calcistica.

Tuttavia, come spesso è accaduto dalla fine della stagione sportiva 2017/2018, le aspettative sono state disattese ed in seguito al ritiro dell’istanza cautelare promossa da Novara, Ternana e Pro Vercelli, il procedimento, volto a modificare la composizione del campionato da 19 a 22 squadre, è stato ritenuto improcedibile dal Consiglio di Stato.

 

A questo punto occorrerà aspettare   ancora un po’ di tempo   per avere le idee più chiare in merito   a quella che  sarà la struttura della nuova Serie B.

Riorganizzare un campionato, alla luce di questa situazione, anche per gli interessi economici contrastanti tra le diverse parti in causa, legati e subordinati ad ogni eventuale decisione, è assolutamente complicato.

Il problema   alla base di tutta questa situazione è quello del   fallimento delle società sportive; un fenomeno che purtroppo, sempre   più di frequente, colpisce il mondo sportivo e quello calcistico in particolare.

Dal 2002/2003, a partire dal famoso caso del fallimento della Fiorentina, sono ben 153 le società sportive in ambito calcistico fallite.

Sostenere che il fallimento sia un fenomeno quasi ordinario nel panorama del calcio italiano non è purtroppo lontano dalla realtà.

Una società di calcio, così come ogni altra società, fallisce perché non è più in grado di far fronte ai propri debiti; la peculiarità   sta nel fatto che le società di calcio, per la loro natura, appartengono a due ordinamenti;

- quello sportivo, in virtù dell’affiliazione e quindi di un legame di natura contrattuale e volontaria con la F.I.G.C.;

- e quello statale, in virtù della loro natura di società commerciali.

Le società sportive sono quindi obbligatoriamente assoggettate al regime giuridico vigente per le società commerciali, ma operano all’interno di un ordinamento “parallelo” quale l’ordinamento sportivo.

Relativamente agli effetti del fallimento di una società di calcio, occorre quindi considerare, oltre alle norme della Legge Fallimentare, anche quelle del diritto sportivo.

La procedura fallimentare nei confronti di una società sportiva, nel rispetto della legge fallimentare, può essere aperta solo se   sussistono presupposti e requisiti precisi sia oggettivi, sia soggettivi e sia  dimensionali, come per ogni altro imprenditore.

L'aspetto probabilmente più interessante del fallimento di una società di calcio risiede nel destino del "titolo sportivo”, ossia “il riconoscimento da parte della F.I.G.C. delle condizioni tecniche sportive che consentono, concorrendo gli altri requisiti previsti dalle norme federali, la partecipazione di una società ad un determinato Campionato" (NOIF, art. 52).

In altre parole, e semplificando, si può dire che il titolo sportivo è il diritto di partecipare a un campionato di calcio rappresentando la storia, sportiva e non, di una squadra.

Con il fallimento della società, la Federazione si riappropria del titolo sportivo, perché "in nessun caso il titolo sportivo può essere oggetto di valutazione economica o di cessione". In altre parole, il titolo non può   entrare a far parte dell'attivo fallimentare, e la conseguenza è che lo stesso venga “perso” dalla società fallita.

Il legislatore sportivo si è infatti preoccupato di salvaguardare la storia sportiva, l'attaccamento dei tifosi e il legame tra squadra e città, impedendo che tutto ciò segua le sorti di un procedimento concorsuale che, per tempi e risultati, spesso non è compatibile con le esigenze dell'ordinamento sportivo.

Il legislatore sportivo si è anche preoccupato del caso in cui il Tribunale conceda al curatore l'esercizio provvisorio: in tal caso, la Federazione riconosce alla società la facoltà di mantenere il titolo sportivo e, per l'effetto, di continuare a "giocare".

In queste condizioni il curatore può, secondo la normativa sportiva e sempre che ciò sia compatibile con le esigenze della curatela, cedere il cosiddetto "ramo d'azienda sportivo", che altro non è se non l'insieme dei (soli) rapporti giuridici riconosciuti dalla Federazione. Le stesse norme sportive non sindacano sul valore del ramo d'azienda oggetto del negozio, ma impongono all'acquirente, come condizione per poter subentrare nella titolarità del titolo sportivo, di far fronte a tutti i "debiti sportivi", cioè dei debiti esistenti nei confronti di tutti (e solo) i soggetti che fanno parte dell'ordinamento sportivo.

Per inciso, i debiti verso procuratori e intermediari non sono qualificabili come "debiti sportivi".

Infine un breve cenno alle associazioni e società sportive dilettantistiche, ASD e SSD,  per sottolineare come dottrina e giurisprudenza prevalenti, stiano estendendo il concetto di fallibilità anche a queste.

Il Tribunale di Monza  nel 1955 ha dichiarato per la prima volta il fallimento di un'associazione sportiva.

Una seconda pronuncia favorevole al fallimento dell'associazione sportiva è quella del Tribunale di Savona, emessa il 18.01.1982, secondo il quale “le associazione sportive non costituite in forma di società, le quali esercitino, abitualmente e sistematicamente, attività di organizzazione, allestimento, attuazione di spettacoli sportivi non meramente dilettantistici e non gratuiti, rivestono la qualità di imprenditori commerciali e sono soggette al fallimento".

Detto orientamento è stato confermato dal Tribunale di Firenze con sentenza del 10.05.1995.
La Corte di Cassazione, poi, con la sentenza n.6835 del 2014 ha precisato che “Lo scopo di lucro (c.d. lucro soggettivo) non è elemento essenziale per il riconoscimento della qualità di imprenditore commerciale, essendo individuabile l’attività di impresa tutte le volte in cui sussista una obiettiva economicità dell’attività esercitata, intesa quale proporzionalità tra costi e ricavi (c.d. lucro oggettivo)”. Effettivamente tale affermazione tende ad ampliare indistintamente il novero dei “soggetti fallibili”, ma d’altra parte non si può omettere di riconoscere che oggi – a qualsiasi livello – la gestione delle “società sportive”, ASD o SSD, tende ad essere, di fatto, esercizio di attività anche economica. In ogni caso va detto che   un’ associazione dilettantistica per intendersi assoggettabile a procedura fallimentare deve essere caratterizzata da dimensioni economiche rilevanti, avere elevati ricavi, e costi di gestione, sistematico ricorso al credito bancario; può essere ad esempio il caso di una A.S.D. che oltre ad avere 50 associati che praticano il tennis, il calcio o altro, venda al pubblico e/o ai suoi associati, all’interno degli spazi ove viene svolta l’attività sportiva, materiale sportivo (racchette, palline, magliette etc.), per un volume di ricavi considerevole e che comunque supera abbondantemente i ricavi derivanti dalle quote di associazione dei praticanti aderenti.