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PENSIONE DI REVERSIBILITA: IL DIRITTO VIENE MENO IN CASO DI ASSEGNO DI DIVORZIO UNA TANTUM

La Corte di Cassazione a Sezioni Unite con la sentenza del 24 settembre 2018, n. 22434, dirimendo un’annosa questione di contrasto negli orientamenti della giurisprudenza di merito, ha stabilito che la pensione ai superstiti non spetta all’ex coniuge che non sia titolare di assegno divorzile periodico avendo percepito, all’atto del divorzio, l’assegno divorzile (o analogo emolumento , ad esempio usufrutto sull’abitazione coniugale) in unica soluzione.

 

Nel caso di specie la Corte di Appello aveva ritenuto che il requisito della titolarità dell'assegno avrebbe dovuto essere attuale ovvero, al momento del sorgere del diritto alla pensione di reversibilità, sarebbe dovuta essere in atto una prestazione periodica in favore dell'ex coniuge:

“La Corte di appello di Messina, confermando la decisione di primo grado, ha negato il diritto di C.A. a percepire una quota della pensione di reversibilità dell’ex coniuge B.C. ritenendo ostativa la circostanza dell’avvenuto percepimento in unica soluzione dell’assegno divorzile. 2. In base alla disposizione di cui all’art. 9, comma 3, della legge n. 898 del 1 dicembre 1970 (come sostituito dall’art. 13 della legge n. 74 del 6 marzo 1987), al coniuge nei confronti del quale sia stata pronunciata la sentenza di scioglimento del matrimonio o di cessazione dei suoi effetti civili e che sia titolare dell’assegno di cui all’art. 5 della legge n. 898/1970 spetta il concorso sulla pensione di reversibilità, tenuto conto della durata del rapporto. La Corte di appello ha ritenuto che il requisito della titolarità dell’assegno deve essere attuale e cioè che al momento del sorgere del diritto alla pensione di reversibilità deve essere in atto una prestazione periodica in favore dell’ex coniuge. 3. C.A. ha proposto ricorso per cassazione avverso la decisione della Corte di appello di Messina”.

In Cassazione, la ricorrente ha contestato tale conclusione ritenendo che il giudice a quo abbia errato ad assimilare la funzione dei due istituti: da una parte l’assegno divorzile, e dall’altra la pensione di reversibilità

Secondo la ricorrente l'assegno divorzile, infatti, avrebbe natura esclusivamente assistenziale, fondata sulla solidarietà post-coniugale e intesa a garantire mezzi adeguati all'ex coniuge al fine di consentirgli una tendenziale conservazione del tenore di vita goduto in costanza di matrimonio

La pensione di reversibilità avrebbe, viceversa, natura previdenziale e non costituirebbe la continuazione dell'assegno divorzile stante la sostanziale diversità nei criteri di attribuzione e di determinazione. Pertanto la ricorrente ha ritenuto che la corresponsione una tantum dell'assegno divorzile non avrebbe scalfito il suo diritto alla reversibilità.

La Suprema Corte rileva come il ricorso si basi fondamentalmente sulla sentenza delle Sezioni Unite n. 159/1998, pronuncia che risolse diverse questioni interpretative alla luce del novellato terzo comma dell'art. 9 della legge n. 898/1970 creando tuttavia successivamente contrasti giurisprudenziali.

Le Sezioni Unite muovono quindi dall’esame del precedente giurisprudenziale citato, per giungere ad affermare che l'espressione testuale "titolare dell'assegno" di divorzio, di cui al terzo comma dell'art. 9 della legge n. 898/1970 nel testo in vigore, va interpretata nel senso di valorizzare il significato della titolarità come condizione che vive e si qualifica nell'attualità, non condividendosi pertanto l'opposto indirizzo ermeneutico, secondo cui la titolarità dell’assegno non significa necessariamente corresponsione periodica e attuale dell’assegno.

Se, infatti, la finalità del legislatore è quella di sovvenire a una situazione di deficit economico derivante dalla morte dell'avente diritto alla pensione, l’indice per riconoscere l'operatività in concreto di tale finalità è quello della attualità della contribuzione economica venuta a mancare; attualità che si presume per il coniuge superstite e che non può essere attestata che dalla titolarità dell'assegno, intesa come fruizione attuale di una somma periodicamente versata all'ex coniuge come contributo al suo mantenimento.

La corresponsione dell'assegno in unica soluzione preclude la proponibilità di qualsiasi successiva domanda di contenuto economico da parte del coniuge beneficiario dell'assegno una tantum, senza che ciò equivalga a negare il carattere autonomo e di natura previdenziale del diritto dell'ex coniuge al concorso sulla pensione di riversibilità, e significa, altresì, prendere atto che non esiste alla morte dell'ex coniuge una situazione di contribuzione economica periodica e attuale.

Difetta, pertanto, il requisito funzionale del trattamento di reversibilità che è dato dal presupposto solidaristico, finalizzato alla continuazione del sostegno economico in favore dell'ex coniuge.

L’assegno di riversibilità non costituisce la mera continuazione post mortem dell'assegno di divorzio ma si giustifica con le stesse ragioni che giustificavano il sostegno economico all'ex coniuge, mediante la corresponsione dell'assegno divorzile; mentre il quantum, in caso di concorso con il diritto del coniuge superstite, sarà modulato sulla base della verifica giudiziale diretta ad accertare gli elementi che conducono a una ripartizione equa fra gli aventi diritto.

Ai fini del riconoscimento della pensione di riversibilità, in favore del coniuge nei cui confronti è stato dichiarato lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio, ai sensi dell'art. 9 della legge 1 dicembre 1970 n. 898, nel testo modificato dall'art. 13 della legge 6 marzo 1987 n. 74, la titolarità dell'assegno, di cui all'articolo 5 della stessa legge 1 dicembre 1970 n. 898, deve intendersi come titolarità attuale e concretamente fruibile dell'assegno divorzile, al momento della morte dell'ex coniuge, e non già come titolarità astratta del diritto all'assegno divorzile che è stato in precedenza soddisfatto con la corresponsione in un'unica soluzione.